LE CITTA’ INVISIBILI – Chi sia Giuseppe Zimbalo (Lecce:1620 – 1710) a quasi tutti dovrebbe esser noto, almeno per sentito dire, di certo, però, lo sanno i muri visto che fu uno dei maggiori artefici della scultura e architettura barocca a Lecce e non solo.
Fra le sue opere più note, infatti, ricordiamo la cattedrale e la chiesa di San Giovanni Battista, entrambe nel capoluogo salentino dove questo Zimbalo visse la maggior parte dell’esistenza. La sua attività, ora come consulente ora come progettista e scultore vede come principale territorio d’azione quella che un tempo fu la Terra d’Otranto corrispondente circa alle tre attuali province di Brindisi, Lecce e Taranto; in ciò aiutato dal rapporto stretto che ebbe con uno delle figure religiose più importanti dell’epoca, Mons. Luigi Pappacoda vescovo di Lecce.
Se considerassimo quanto appena detto come presupposto verrebbe da porsi subito una domanda: esiste almeno un’opera scultorea che abbia visto questo artista direttamente coinvolto tale da collegarlo alla sede arcivescovile più importante del Salento ovvero Otranto? Nulla in tal senso fino a oggi risulta nel pur vasta bibliografia dedicata a questo autore.
Un frammento lapideo erratico (Figg. 1 – 3), oggi nel giardino dell’arcivescovo di Otranto, sembra rispondere positivamente proprio alla domanda posta e ciò sulla base delle significative analogie stilistiche con l’unica opera autografa oggi nota di tale scultore, l’altare di Santa Teresa nella chiesa leccese sotto il medesimo titolo (Fig. 4). Il nodo attributivo che andiamo dipanando di fatto vede più di quanto si possa immaginare l’intrecciarsi, in termini di scenario, di due città: Otranto e Lecce.
Di questo frammento (Figg. 1 – 3) – è rappresentato a tutto tondo un piccolo angelo quasi a figura intera (mancano parzialmente gli arti inferiori tagliati di netto) appoggiato a un elemento architettonico in modo tale da lasciar pensare che fosse la parte laterale di una struttura compositiva più articolata – non ne conosciamo l’esatta provenienza (cattedrale? palazzo arcivescovile?); l’angelo volge il capo verso quello che doveva essere il fronte principale dell’opera originaria.
Dal punto di vista attributivo è molto utile tenere a mente (Fig. 4) lo stesso tema principale del frammento (una testa d’angelo) così com’è realizzato nella citata opera autografa e non solo. Si è ritenuto, infatti, altrettanto interessante mettere a confronto quel volto presente sull’altare autografo in Santa Teresa (Fig. 4, volto A) con altro (Fig. 4, volto B) collocato nel terzo altare in fondo a destra entrando nella medesima chiesa. Affiancare le due metà (Fig. 4, immagine al centro) consente di dimostrare con più certezza l’attribuzione a Giuseppe Zimbalo di questo secondo altare (nelle sue parti principali) collocato proprio di fronte a quello autografo.
A chi potrebbe pensare che queste ultime righe e con esse il riferimento a questo secondo altare siano un’inutile divagazione stilistica si può rispondere subito sottolineando una questione metodologica fondamentale secondo la quale una cosa è enunciare un’attribuzione, altra, invece, è dimostrarla; ciò è tanto più vero poi se, ed anche per questo secondo altare è accaduto dal punto di vista storiografico, chi ha enunciato lo ha fatto attribuendo la medesima paternità ad opere fra loro anche abbastanza diverse.
La necessità del riferimento qui fatto a questo secondo altare si chiarisce però nel momento in cui si rilevano elementi formali/esecutivi tali da accomunarlo a un altro ancora più monumentale: quello che occupa tutta la parete di fondo del transetto destro della chiesa leccese di Santa Irene (Fig. 5). Tale datato (1651) altare fu commissionato da Mons. Gaetano Cossa – arcivescovo di Otranto dal 1635 alla sua morte avvenuta nel 1657 – come attestato da una delle epigrafi basamentali e soprattutto dallo stemma sommitale al centro.
Quest’ultima opera, attribuita ancora oggi dalla storiografia allo scultore barocco Cesare Penna il Vecchio, in realtà, dal punto di vista esecutivo chiama, invece, in causa proprio Giuseppe Zimbalo.
Il cerchio quindi sembrerebbe chiudersi. Il frammento, collocato nel giardino dell’arcivescovo di Otranto e qui attribuito a questo Zimbalo, mostra analogie formali almeno con un’opera realizzata nei primi anni cinquanta del Seicento (il che, quindi, ne consentirebbe una datazione) e potrebbe essere legato alla figura dell’arcivescovo Cossa. E’ da aggiungere per completezza che le forme anatomiche (e non solo) dell’angelo rappresentato nel frammento idruntino ritornano simili negli altari (il maggiore e i due minori) presenti nella chiesa leccese delle Scalze, tutti attribuibili sempre al medesimo Zimbalo.
In chiusura vorremmo aggiungere due ulteriori dati. L’altare, voluto dal Regio Uditore Pietro Varrone (i cui stemmi sono nella parte sommitale dell’opera a destra e sinistra), dedicato a santa Teresa nella leccese chiesa sotto lo stesso titolo si è detto autografo in quanto esso reca inciso sul plinto della colonna esterna sinistra il nome completo dell’esecutore: «GIOSEPPE XIMALO CSOPIVA». In effetti, però, a un’analisi di dettaglio, una lettera «L», di altezza simile al testo precedente, è a sua volta incisa sul toro soprastante il plinto con il nome e cognome dell’artista, parte destra, in modo che, vista dal centro della mensa, essa appare collocarsi, seppure sopra, in corrispondenza dello spazio fra «O» e «P» a correggere evidentemente l’errore ortografico del sottostante verbo «CSOPIVA» (Fig. 6).
Non distante dall’angelo attribuito a Giuseppe Zimbalo, nello stesso giardino arcivescovile, è una piccola scultura a tutto tondo raffigurante un bambino. Tale frammento, collocato sulla sommità del pozzo, è attribuibile a un’altra figura illustre del barocco in Terra d’Otranto, lo scultore Ambrogio Martinelli di Copertino (Fig. 7).
Ringraziamenti: Arcidiocesi di Otranto, Arcidiocesi di Lecce.
Le foto sono dell’autore pubblicate con autorizzazione delle arcidiocesi.
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