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Lecce, il covid (e non solo) si porta via 6411 posti di lavoro

LECCE – «Persi» 6.411 addetti in provincia di Lecce. Vale a dire il 3,6 per cento della forza lavoro. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto da Davide Stasi, responsabile dell’Osservatorio Economico di Aforisma School of Management, riferito al terzo trimestre di quest’anno (luglio-settembre).

La perdita di tanti posti di lavoro è dovuta, principalmente, al mancato rinnovo dei contratti a termine e alla forte stagionalità del settore turistico-ricettivo, in gran parte compromessa dal Covid-19.

«L’analisi per settori e per province – spiega Stasi – consente di comprendere quali siano i comparti e quali siano le aree più colpite dalla recessione economica, innescata dal nuovo coronavirus. Prendendo in esame le imprese attive ed escludendo quelle cancellate o sottoposte tuttora a procedure concorsuali, la più penalizzata è la provincia di Foggia (-8.663 addetti, pari ad un tasso negativo del 5,7 per cento). Seguono Brindisi (-4,7 per cento; da 87.998 a 83.904 addetti); Lecce (-3,6 per cento; da 177.535 a 171.124 addetti); Taranto (-2 per cento; da 122.785 a 120.299 addetti); Bari e Barletta-Andria-Trani (-1,8 per cento; da 405.899 a 398.786 addetti). Nelle aziende attive della provincia di Lecce– evidenzia Stasi – si contano 171.124 addetti. La media è di 2,6 addetti per impresa, considerato che le attività economiche attive, iscritte al «Registro Imprese» della Camera di commercio, sono 64.905. Il sistema produttivo pugliese è caratterizzato, nel complesso, dalla forte presenza di ditte individuali e micro-imprese, considerato che la media per impresa non arriva neppure alle tre unità lavorative».

In particolare, gli addetti nelle «attività dei servizi di alloggio e ristorazione» sono diminuiti di 3.922 unità, pari ad un tasso negativo del 16,8 per cento (da 23.386 a 19.464). Nell’agricoltura, si registrano 1.497 addetti in meno (da 12.075 a 10.578, ovvero il 12,4 per cento in meno); le attività di noleggio e delle agenzie di viaggio (-707 addetti; da 13.064 a 12.357);

In termini percentuali, a pagare di più sono le «attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento», che hanno avuto un calo del 17,3 per cento (da 3.671 a 3.035, cioè meno 636 addetti).

In difficoltà anche il commercio che ha «perso» 407 addetti (da 42.721 a 42.314); i servizi di informazione e comunicazione (-120 addetti, da 3.152 a 3.032).

In controtendenza, il settore delle costruzioni (+358 addetti; da 19.775 a 20.133); la sanità e l’assistenza sociale (+216 addetti; da 8.111 a 8.327, pari ad un incremento del 2,7 per cento); il manifatturiero (+133 addetti; da 25.657 a 25.790); le attività professionali, scientifiche e tecniche (+129 addetti; da 3.006 a 3.135); le attività finanziarie e assicurative (+78; da 4.224 a 4.302).

E’ evidente come il covid si sia abbattuto in particolar modo sulle piccole e medie imprese. “Il blocco dei licenziamenti – spiega Valentina Fragassi, segretaria generale della Cgil – vieta di interrompere i contratti di lavoro a tempo indeterminato, ma non blocca le scadenze dei contratti a tempo. Ecco spiegati gli scivoloni nei settori che fanno più ampio ricorso a contratti a tempo determinato, atipici, interinali, Cococo, stagionali, a chiamata. Il Covid ha fatto emergere le criticità più profonde dell’economia locale”. “Noi siamo per il lavoro di qualità – conclude Fragassi – Governo, Regione e Comuni devono puntare sulla formazione, sul lavoro qualificato e devono “convincere” le aziende ad applicare i contratti nazionali, a dare sicurezza e diritti ai loro dipendenti per tutto l’anno. Altrimenti, di fronte alla tempesta, ci riscopriremo tutti più fragili e più poveri”.

Il precariato era e resta un grave problema in provincia di Lecce. Ne è convinto il segretario provinciale della Uil Salvatore Giannetto: “Facciamo i conti da anni con un precariato dilagante. Continua a lievitare il numero di lavoratori e lavoratrici temporanei, a tempo parziale e interinali, come pure di altre forme di lavoro in subappalto. Un problema che riguarda moltissimi giovani, costretti a lavori saltuari e che oggi, in piena pandemia, si ritrovano senza adeguate protezioni e dunque a rischio. Ma non solo. In questa platea ci sono anche tante donne e i lavoratori over 50, che non sono pochi. Sappiamo che tra i 50 e i 60 anni ci sono scarse possibilità di trovare un impiego e se vieni espulso dal mercato del lavoro hai ben poche possibilità di rientrarci, se non con lavori occasionali e malpagati. Anche di queste situazioni, Governo e Regione devono farsi carico con urgenza”. Di qui l’invito della Uil a garantire con urgenza  “a questa platea di lavoratori precari un reddito di emergenza e attivare tavoli anticrisi per discutere degli stanziamenti dello Stato e delle risorse derivanti dal Recovery Fund per aiutare chi oggi è ancora sprovvisto di tutele. Nessuno deve rimanere escluso”.