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Dalla Polonia a Lecce: l’odissea e la quarantena di Valeria Caracuta

LECCE – Valeria Caracuta è una giovane pallavolista leccese in forza, come palleggiatrice, nell’ŁKS Commercecon Łódź in Polonia che vanta un palmarès di tutto rispetto. Ha vinto campionati italiani,  coppe Italia, supercoppe, la Coppa Confédération Européenne de Volleyball (CEV) e, con la maglia della nazionale,  la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo.

È da poco rientrata in Italia dopo un viaggio durato due giorni, degno della miglior spy story americana. Due settimane fa in Polonia i casi accertati di contagio erano soltanto 50 e le restrizione attivate dal Governo erano ancora piuttosto limitate. In attesa di decisioni sul campionato di volley “la società sportiva – ha spiegato al telefono l’atleta – ha dato la possibilità a noi stranieri di rientrare nei paesi d’origine e per stare vicini alle nostre famiglie. Pensavamo di tornare dopo un breve periodo a casa, ma il campionato è stato ufficialmente chiuso due giorni fa”.

Le valigie preparate di corsa e subito la ricerca, vana, di un volo che la riportasse a casa. “Non c’era modo di rientrare velocemente in Italia – ha continuato – Così con una collega e l’allenatore, ho preso un aereo fino a Lubiana con l’idea di affittare un’auto e arrivare fino a Venezia, ma a causa delle limitazioni sugli spostamenti, siamo riusciti ad arrivare solo fino a Gorizia. Siamo stati accompagnati dal papà della collega, che ha rischiato di non poter tornare indietro. Preso il primo treno disponibile siamo arrivati a Venezia, dove abbiamo dovuto esibire l’autocertificazione e passare lo scanner per la misurazione della temperatura, e infine in taxi fino all’hotel, dove siamo arrivate in tarda serata”.

All’alba del giorno successivo, dopo aver dormito solo 4 ore ed essere rimasta praticamente a digiuno per l’intera giornata precedente, Valeria è partita con un treno praticamente vuoto, destinazione Salento .

“Fuori dalla stazione di Lecce ho trovato la macchina che i miei genitori avevano lasciato per me, ho caricato le mie 4 pesantissime valigie e ho iniziato la quarantena nella casa che una zia ha messo a mia disposizione. Non ho incontrato i miei, lo farò quando sarà possibile e non avremo alcun timore a riabbracciarci”.

Mantiene i contatti con la famiglia attraverso videochiamate e messaggi, come ormai siamo abituati a fare un po’ tutti. Manda alla mamma la lista della spesa e lei le fa trovare le buste piene sotto casa. Si salutano da lontano, per evitare qualsiasi tipo di contatto.

A metà febbraio ha giocato a Novara, passando necessariamente dall’aeroporto Malpensa di Milano, zona ad altissima concentrazione di contagio da Coronavirus. Al rientro lei e alcune colleghe hanno avuto alcuni sintomi influenzali che potevano far pensare di aver contratto il virus. “Siamo atlete e giovani – ha specificato – ma abbiamo pensato che poteva trattarsi di Covid-19, con un’evoluzione meno importante rispetto a tante altre persone. Chiaramente sono solo ipotesi, non possiamo avere la certezza e bisogna tenere conto che la guarigione è stata piuttosto rapida”.

Cerca di limitare l’uso social network perché è convinta fomentino le paure, per la mole di notizie vere e false che postate quotidianamente. “Viviamo tutti uno stato d’ansia, conscio oppure no, penso che dopo aver avuto le informazioni utili a conoscere la situazione, sia necessario concentrarci su altro, per non stare peggio. C’è gente che nonostante sia in perfetta salute, sente addosso tutti i sintomi, rischiando di ammalarsi in altro modo ”.

Valeria ha una sorella gemella che vive a Bergamo, una delle città più colpite dall’epidemia da Coronavirus  che “è rimasta a casa, non è partita per non mettere a repentaglio la salute degli altri. Sta bene, sebbene sia rimasta sola. Il marito ha ricevuto il trasferimento e dal primo marzo è in sevizio a Lecce”. Limitare gli spostamenti è di fatto l’unica arma efficace per contenere il contagio, anche se costa sacrifici enormi, soprattutto per chi, come loro, vive lontano dai propri affetti. “Il mio fidanzato ora è a Pesaro con la famiglia, ci sentiamo ogni giorno. Non è facile per nessuno, ma io vorrei che la gente si rendesse conto che dobbiamo fare in modo che il sistema sanitario non arrivi al collasso. Temo molto il virus, ma bisogna pensare anche alle persone che potrebbero avere bisogno di assistenza per altre patologie”. E si tratta di una preoccupazione concreta, viste le serie difficoltà che sta affrontando ogni giorno il sistema  sanitario nazionale.

Lo spirito combattivo innato, sostenuto da anni disciplina sportiva, l’aiuta ad affrontare senza troppi traumi questo fermo forzato. In casa non ha tempo per annoiarsi e si  dedica a diverse altre attività, ludiche e non. “Vivo da sola da molti anni, non mi pesa la solitudine. Sto imparando a cucinare perché, da atleta professionista, non ho avuto l’opportunità di farlo prima. Ho addirittura sfornato la mia prima pizza! Mi dedico allo studio, sono iscritta alla Facoltà di Scienze Motorie “Foro Italico” di Roma che ha una sezione speciale per gli atleti professionisti, ho un tutor a mia disposizione”. Non si allena molto. Preferisce concedersi un meritato stop. In casa peraltro mancano le attrezzature adatte per una preparazione di livello agonistico.

La sua squadra, arrivata in terza posizione nel campionato polacco, ha ricevuto la medaglia di bronzo a stagione conclusa. Il suo ingaggio è terminato a maggio ed è felice della sua esperienza.

Per il futuro sta vagliando diverse possibilità come tornare in Polonia oppure scegliere altro. C’è spazio, nelle sue valutazioni, per un cambio di direzione. “Due anni fa ho aperto una scuola di pallavolo con i miei genitori – ha spiegato – potrei decidere di collaborare con loro”.

Valeria ha il tempo per riflettere e prendere la decisione giusta per il suo domani, nel frattempo ha dimostrato che può essere un punto di riferimento per molti, giovani e adulti e non soltanto nel modo della pallavolo.