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Coronavirus, una leccese a Milano: “Non siete furbi”

Riceviamo e pubblichiamo un intervento della nostra inviata Barbara Tornese,
da qualche anno a Milano, su quanto avvenuto nelle scorse ore nel capoluogo lombardo, dove sono stati presi d’assalto i treni in partenza verso il Sud a causa del coronavirus.

MILANO – “Sono sempre stata una salentina atipica. Una di quelle che ad agosto va in montagna o alle terme e che ogni scusa (non) è buona per scendere.
Di quelle che si trasferiscono a Milano e diventano milanesi dopo tre giorni.
E non perché io mi sia mai attegiata tale, ma perché Milano mi ha dato subito quello di cui avevo bisogno: un tetto sulla testa, il lavoro dei sogni, uno stipendio che mi permette di vivere bene. Una speranza di carriera‌
Per usare ironia sportiva: non sono una milanese occasionale.
Non vivo in uno stato malinconico perenne. Mi godo il mio qui e ora in questa città fantastica. Ho sempre pensato che sia sbagliato vivere assopiti in attesa di qualcosa che ci possa regalare la felicità. Non ho mai condiviso l’atteggiamento dei miei conterranei che “sono costretto a stare qui”, e appena posso scendo per essere felice. Se già solitamente tendo a prendere le distanze da questi contorti meccanismi di “appartenenza” geografica, oggi vorrei che le distanze le mantenessero gli altri, da me. Dalla mia famiglia che vive giù. Da mia nonna cardiopatica e diabetica. Da mia nipote di 8 anni.
Vorrei che le persone comprendessero l’importanza della distanza, ora che questo termine ha assunto un significato più realistico che mai. Vorrei che questa emergenza fosse compresa prima di tutto dalle famiglie delle persone che vivono fuori casa. Perché se dobbiamo essere forti, dobbiamo esserlo tutti. Insieme. Se chiamassi mia madre in lacrime, sarebbe la prima a convincermi che scendere è sbagliato (andando contro l’insito amore di mamma che vuole il figlio sotto la sua gonnella).
Vivere fuori è difficile e se ogni tanto si scappa “per andare giù”, oggi dobbiamo capire che farlo non solo non è possibile, ma è dannoso. E se in uno stato di normalità vige la regola “la vita è mia e faccio quello che dico io”, da oggi il libero arbitrio deve essere assolutamente rivisto nel suo significato. Perché la vostra vita non è solo la vostra, ma quella dei vostri genitori, amici, nipoti. È dei vostri nonni cardiopatici, diabetici. Dei familiari over 65, quelli che non potete sapere come risponderanno al virus.
Non siete più furbi di nessuno se prendete un treno prima della firma ufficiale di un decreto di blocco.
Non siete scaltri. Non la sapete più lunga di altri. Non state anticipando le vacanze.
State ignorando la scienza. I medici. Le ordinanze regionali. I consigli ministeriali. Il buon senso civico.
Non aiutate nessuno se non la diffusione a macchia d’olio del virus.
In questo momento “casa vostra” non è quella in cui siete nati, è solo la casa in cui potete essere al sicuro, voi e le persone a cui volete bene. Pensateci la prossima volta che decanterete il “Salento mio”!”