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“Internato 159534”. La Shoah raccontata da un deportato

 

CURSI – “Noi non avevamo un nome ma un numero: il mio era 159534 (…) In ogni carro-bestiame possono entrare normalmente 24 persone o 12 bestie. In quello dove entro io siamo in 73: si può stare solo in piedi (…) Sono convinto che la coscienza delle barbarie che si sono prodotte nel ‘900, deve integrarsi con la coscienza della pace che progredisce. Sono uno di quelli che hanno visto: e con passione e devozione ho raccolto questi miei documenti a testimonianza di ciò che è stato”.

Queste le parole che Nicola Santoro, militare salentino internato nel campo di lavoro nazista di Treuenbrietzen, in Germania, riporta nel suo libro “Internato 159534”, che lunedì 27 gennaio, alle ore 12, a Palazzo Adorno, verrà presentato alla stampa, proprio nella ricorrenza del Giorno della Memoria. Si tratta della seconda edizione del volume, edito da Il Raggio Verde, che raccoglie le sue testimonianze ed i suoi ricordi, oltre al diario di Fernando Simeone, un suo amico internato nello stesso campo e scomparso nel 2010.

Interverranno alla presentazione Stefano Minerva, presidente della Provincia di Lecce, Antonio Melcore, sindaco di Cursi, Antonietta Fulvio, per la casa editrice “Il Raggio Verde”, Loredana Di Cuonzo, che ha curato la prefazione, Antonio Specchia, che si è occupato dell’impaginazione e, naturalmente, Nicola Santoro, 96 anni, che ha raccolto le sue memorie in questo testo e che è eccezionale e lucido testimone degli orrori della guerra.

Santoro, classe 1924, è nato e vive a Cursi. Secondo di sette figli, a 19 anni venne arruolato nel giugno del 1943 con l’incarico di marconista del Genio militare, presso la caserma di Udine. Fatto prigioniero dopo l’8 settembre del ‘43, trascorse due anni nel campo di lavoro di Treuenbrietzen. Venne liberato dall’Armata Russa il 21 aprile del 1945 e giunse a Cursi dopo aver percorso 2.600 chilometri a piedi, il 10 luglio del ‘45.

Furono 600mila i soldati italiani che non accettarono di continuare a combattere al fianco dei tedeschi e, per questo, furono tutti avviati al lavoro coatto e allo sterminio. Fu un dettaglio burocratico, una definizione che in pratica li ridusse in schiavitù: Hitler dispose che i prigionieri di guerra italiani non godessero dello status che li avrebbe posti sotto la protezione della Convenzione di Ginevra, ma venissero invece etichettati come I.M.I., Militari Italiani Internati, cioè manovalanza a basso costo e senza possibilità di ottenere i sussidi della Croce Rossa Internazionale.

Con la costituzione della Repubblica di Salò, agli I.M.I. fu offerta la possibilità di aderire e di rientrare così in Italia. La maggior parte di essi, come Nicola Santoro, rifiutò e rimase nei campi nazisti. Ancora non è stato possibile accertare il numero effettivo di chi non sopravvisse alla inumana condizione dei campi, alla fame, agli stenti, alle malattie, al duro lavoro della prigionia.

159534 è il numero che fece perdere a “Nicolino” la dignità di uomo e a farlo sentire solo un “dimenticato”.