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Segre, Rodelli e quel numero di Auschwitz

Tenete ben impresso questo numero: 75190. E’ quello marchiato sulla pelle e nel cuore di Liliana Segre, la senatrice a vita della Repubblica Italiana, deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Un numero. Come i tanti uomini e donne (numeri, appunto) rimasti vittime dell’Olocausto. Dovremmo scolpirlo nella testa, magari farlo diventare un vero e proprio hashtag per parlare alle nuove generazioni che vengono allevate senza valori da genitori sordi e ciechi, incapaci di guardare avanti perché riluttanti a volgere indietro il loro sguardo. Restii a comprendere per diventare parte di un tutto.

Le dichiarazioni rilasciate dal segretario cittadino della Lega, Riccardo Rodelli, sono deliranti e assurde. Sono, soprattutto, figlie di un tempo buio, di un decadentismo morale e valoriale, di un’eclissi di prìncipi e di forme di vita culturale. Definire Liliana Segre una nonnetta che siede abusivamente a Palazzo Madama e accostarla a Mrs Doubtfire (film di successo con Robin Williams nei panni di una signora attempata) è svilente, avvilente e altamente offensivo. Non solo per la senatrice ma per le migliaia di persone barbaramente uccise dai nazisti. E allora 75190 non rappresenta solo un numero. E’ tanto altro ancora: un monito, per evitare che sopraffazione e violenza prendano il sopravvento, un campanello d’allarme per non cadere in trappole di regime, un memorandum per ricordare chi eravamo, uomini e donne con un proprio vissuto, non carne da macello.
“Quel numero io lo porto con grande onore perché la vergogna è di chi lo ha fatto”. Ecco il grande insegnamento di Liliana Segre, una donna sopravvissuta all’Olocausto cui non può far paura nulla ma verso la quale tutti dobbiamo chinare il capo in segno di profondo rispetto. A volte basterebbe un pizzico di empatia in più e un po’ di ignoranza in meno.