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Otranto / Scoperte / Voci dal passato: il mistero delle epigrafi

Recentemente, affermano al Comune di Otranto, in uno scavo presso il porto di questa città è emersa una serie di frammenti lapidei. L’importanza di tali reperti è legata ad almeno due aspetti: alcuni di essi hanno una connotazione più specificatamente architettonica, trattandosi di parti di una trabeazione, altri invece recano incisi frammenti d’iscrizione. Il testo in latino, già a una prima analisi, appare incompleto; molte altre parti dell’originario, quindi, potrebbero ancora emergere. Secondo quanto riferitoci, quei frammenti sembrerebbero provenire dalla cattedrale di Otranto e in particolare sarebbero quanto rimane del portale maggiore precedente l’attuale costruito dall’arcivescovo Adarzo de Santander nel 1674 (la data è nell’epigrafe centrale del medesimo). Attualmente i frammenti, esposti al pubblico, sono nella sala triangolare del castello di Otranto. Tutte le scarne informazioni ottenute presso il Comune qui riportate, possono essere integrate con altre scaturite da una ricerca che, ancora in corso, riteniamo utile condividere a beneficio di una maggiore conoscenza della storia architettonica della città salentina.

La vicenda di quei frammenti, o meglio di alcuni di essi in particolare, per quanto ne sappiamo oggi, si propone in realtà per la prima volta agli inizi dagli anni Ottanta del secolo scorso.

In una nota, datata 13 aprile 1983, il custode capo Francesco VOLPICELLA da Otranto comunicava al Museo Nazionale di Taranto, quanto segue: «Vorrei far presente, che essendoci dei blocchi in pietra con EPIGRAFI LATINE fuori luogo appartenenti alla facciata principale della Cattedrale, il parroco di Otranto (sac. Don GRAZIO Gianfreda), avendo avuto un colloquio con lo scrivente, è disposto a rimuovere a proprie spese i suddetti blocchi, per riportarli al posto di origine, purché i lavori vengano effettuati celermente». La nota di VOLPICELLA veniva spedita, quindi, da Taranto alla Soprintendenza ai Beni A. A. A. S. -Castello Svevo, Bari- e qui protocollata il 10 maggio 1983. Il testo di quest’ultima trasmissione, a firma del soprintendente reggente, prof. Ettore M. DE JULIIS, così recita: «Si trasmette per competenza copia della relazione fatta pervenire a questo Ufficio dal custode capo VOLPICELLA di Otranto, in quanto l’iscrizione di cui trattasi, incisa su numerosi conci di tufo attualmente reimpiegati nel muro di cinta di un orto sito nelle adiacenze di Via Madonna del Passo, sembra pertinente al rifacimento del 1481 della facciata ovest della cattedrale di Otranto». In una nota aggiunta a mano si specifica il nominativo del proprietario dell’orto in cui all’epoca erano «I conci di tufo con l’iscrizione […]» precisando che essi «[…] costituiscono in parte il muro di sostegno di una casa adiacente». A corredo dei testi sono tre fotografie e negativi in busta. In una di esse si vede il concio, reimpiegato nella muratura con il lato corto in posizione angolare, su cui è il seguente testo inciso su due righe: «OSTRAE / OLIM»; in altra fotografia, sempre in b/n, si vedono, reimpiegati nella muratura con il lato corto in angolo, un primo concio con inciso «OMNIUM [CI]» e altro, più in alto, sopra un filare di conci senza incisioni, collocato sottosopra in cui, su due righe di testo, si legge sempre con i medesimi caratteri: «OC S… / MINA»; l’ultimo concio, posizionato come i precedenti, su due righe di testo, reca inciso: «HEDRALI / TRUXIT». Alcune lettere dei precedenti non sono leggibili o per via della fotografia o perché coperti da vegetazione; in ogni caso essi compaiono fra quelli oggi nel castello di Otranto. Il primo con «OSTRAE / OLIM» corrisponde al pezzo esposto con inciso «NOSTRAE / A OLIM». Il secondo con inciso su un unico rigo: «OMNIUM [CI]» corrisponde a quello sul quale oggi si riconosce solo la lettera «O» iniziale; l’ultima lettera parzialmente visibile nella foto potrebbe essere una «C»; tale pezzo è riconoscibile per via del tratto verticale a tutta l’altezza disposto nella mezzeria, forse il tentativo non ultimato di tagliarlo in due parti. L’altro che nella foto mostra «OC S… / MINA» corrisponde, invece, a quello oggi esposto con inciso su due righe: «OC SERA / MINA R». Quello, infine, nell’ultima foto, su cui si legge «HEDRALI / TRUXIT» corrisponde a «HEDRALIS / TRUXIT». Probabilmente è proprio il testo di quest’ultimo concio con il suo riferimento alla cattedrale ad aver spinto alcuni a pensare sia nel 1983, così come ancora oggi, che i resti provengano dall’edificio religioso più importante della città; il resto dei frammenti ha poi spinto verso l’ipotesi del portale.

Da escludere subito, intanto, la provenienza della maggior parte di quei conci epigrafici dal portale principale della cattedrale otrantina. A spingerci verso questo tipo di conclusione è il contenuto stesso della serie epigrafica 5 dove compare il titolo di San Giovanni Battista; e così pure quella parte del testo della serie 1 dove si fa riferimento a un ordine religioso. Vedremo meglio il tutto a breve.

I frammenti esposti, come comunicato dagli uffici comunali, sono tutti quelli rinvenuti nello scavo. Sono in totale trentotto (va aggiunto un ulteriore murato in un’abitazione privata), di pietra leccese la cui integrità originaria è compromessa da scheggiature e rotture di varia foggia e dimensione. Riconoscibile la loro funzione architettonica originaria. Tutti assieme, in astratto, sono riferibili a una trabeazione: sette appartengono all’architrave a fasce, dodici alla cornice di cui cinque con dentellatura; i rimanenti ventuno sono quelli con le iscrizioni in latino. Tre conci con incisione presentano uno scarto di quota della superficie frontale pari a circa cinque centimetri. Tale dimensione ritorna simile anche nel risalto della cornice (sommitale); l’ampiezza frontale di questo risalto è compatibile (circa 46 cm.) con l’analogo motivo sul concio sempre della cornice. I due dati precedenti lasciano ragionevolmente supporre che tutti i frammenti siano parte di un unico ordine architettonico. In tale contesto i conci parlanti corrisponderebbero al fregio di quell’ordine. La sporgenza ridotta rilevata sia nel fregio che nella cornice lascia supporre di essere in presenza di un ordine architettonico, come detto, ma a paraste la larghezza del cui fusto potrebbe essere stata pari ai 46 cm. già in precedenza citati. Da un punto di vista strutturale siamo in presenza di due tipi di conci: quelli costituenti la cortina del muro e quelli invece messi di traverso (con il lato breve sul fronte) a formare le cosiddette catene. Tale tipo di tessitura spinge a escludere che i conci provengano dalla trabeazione propriamente detta di un portale.

Breve analisi epigrafica e paleografica

I conci che recano iscrizioni sono diciannove (ai quali va aggiunto, però, quello murato). Il loro montaggio, così come nell’esposizione, consente di individuare con una certa sicurezza cinque serie di frammenti epigrafici di varia estensione, qui numerati progressivamente secondo la loro attuale collocazione: la n. 1, costituita da otto conci (nove, se consideriamo quello nel muro di un’abitazione privata), ciascuno di lunghezza media inferiore rispetto agli altri, comprende due linee di testo; la n. 2 e la n. 4, luna costituita da due conci e l’altra da uno solo, mostrano un’unica linea di testo che, in entrambi i casi, risulta decentrata verso il margine superiore del concio; la n. 3, con un solo concio, mostra due linee di testo; la n. 5, formata da sette conci, presenta due linee di testo, la seconda delle quali, assai breve, probabilmente segnava il centro dello specchio epigrafico. In nessun caso si rilevano tracce di riquadratura dello specchio, il quale, ricordiamolo, in alcuni conci delle serie 1, 2 e 5 si articola su due piani.

In genere la scrittura occupa una delle facce più estese dei conci, tranne due casi nella quinta serie; qui la scrittura, per un totale di circa tre caratteri, è ospitata su una delle facce minori di due conci che svolgevano la funzione di catena nella tessitura muraria. Ragionevole immaginare che casi simili si riscontrassero anche in altri frammenti epigrafici, tenendo conto del fatto che nella serie 1 ci sono alcune lacune nelle quali non ricadrebbero, appunto, più di tre caratteri.

Per quanto attiene all’aspetto della scrittura, va segnalata un’impressione di maggiore ariosità nelle serie 2-5 rispetto alla serie 1; tuttavia, quest’ultima, come appena detto, è costituita da conci mediamente più corti e potrebbe essere stato questo il motivo della contrazione della scrittura; è abbastanza evidente, oltre che ragionevole, lo sforzo compiuto dal lapicida nell’evitare di incidere i caratteri nei punti di giuntura tra i conci (tenuto conto dello stato dei materiali, solo in un caso sembra non esserci riuscito e cioè proprio nella linea superiore della prima serie, laddove le tracce rimaste rivelerebbero una lettera «N» con i due tratti verticali ripartiti tra quinto e sesto concio). Il tipo di scrittura appare in generale abbastanza uniforme e regolare, alcune lettere dal caratteristico disegno si ripetono in frammenti diversi, come la «X», realizzata con due archi contrapposti, vicini ma non uniti (serie 1, 3, 5), e la «M», i cui tratti vanno sempre dal rigo di testa al rigo di base, pur presentando differenti inclinazioni anche all’interno della stessa serie (nn. 1, 2, 5).

L’altezza dei conci è la medesima per tutti ed è pari a circa cm. 26. Più variegata, invece, la casistica delle dimensioni sul piano frontale. I conci della prima serie epigrafica (da sinistra a destra nell’attuale sistemazione) hanno rispettivamente le seguenti ampiezze espresse in cm.: 1° concio (21+17; senza iscrizioni, la prima parte sporge rispetto alla seconda di cm. 5 circa); 2° c. (45.2); 3° c. (42.7); 4° c. (49.2); 5° c. (46.8); 6° c. (52.7); 7° c. (51.7); 8° c. (46.6); 9° c. (40.2+47; con la seconda parte sopraelevata di circa cm. 5 rispetto alla prima). I conci della seconda serie: 1° concio (24.5+43, la prima sporge di circa cm. 5 rispetto alla seconda); 2°c. (65.6). La terza serie è composta da un solo concio: 1° concio (78.6). La quarta serie è composta da un solo concio: 1° concio (73.7). La quinta e ultima serie è composta da: 1° concio (78.5); 2° c. (91); 3° c. (79.5); 4° c. (19; si tratta di una catena), 5° c. (83.8); 6° c. (26+26; la seconda parte sporge rispetto alla prima di cm. 5); 7° c. (20.3; si tratta di una catena). L’altezza delle lettere rilevata nelle serie 1 e 5 è con buona approssimazione costante e pari a circa cm. 8.5/9; l’interlinea pari a circa cm. 3/3.5; negli altri casi la differenza è minima.

 

Serie epigrafiche

Diamo ora il testo dei frammenti epigrafici, avanzando subito quelle ipotesi di integrazione che non presentano particolari difficoltà e quelle che si basano su riferimenti abbastanza diretti ed evidenti nella documentazione reperita; ogni frammento è accompagnato da una traduzione eseguita il più possibile alla lettera. I frammenti epigrafici sono stati suddivisi, in funzione del testo, in cinque serie composte da un numero variabile di conci.

 

[……. H]OC SE[RA]PHINUS [ARC]HIAEP(ISCOPUS) HIDR(UNTINUS) RELIGIONIS NOSTRAE [… E]X MAG[N]A PARTE POST TU[R]CARU(M) [A]CERRI=/[MA DEMOLI]MINA RESTITU[IT] EXIMIA PIETATE AC OPERA OLIM [TEM]PORU[M] [IN]IURIA C[O]LLAPSU(M) SINGULARIS

«Questo … Serafino, arcivescovo di Otranto, … del nostro ordine, in gran parte restaurò con devozione e cura straordinarie dopo le terribili devastazioni dei Turchi; già rovinato per l’ingiuria del tempo, il/la singolare»

 

[H]YDRUNTINORUM

«…degli Otrantini…»

 

[… CAT]HEDRALIS […] / [… CON]STRUXIT : A[…]

«… la/della cattedrale … / … costruì …»

 

O[MNIUM C…….]

«… di tutti …»

 

[… DIV]O IOANNI [BAP]TISTAE, QUO IN[TER N]ATOS MULIE[R]U(M) NON SURREXIT MAIOR. / LAUS DEO […] .1661.

«… a san Giovanni Battista, rispetto al quale nessuno sorse più grande tra i nati da donna. Lode a Dio … 1661.»

Analizziamo adesso le lacune significative e le ipotesi di integrazione più importanti.

Per quanto riguarda la serie 1 segnaliamo che nella prima lacuna, come sembrano suggerire iscrizioni e documenti coevi, potrebbe ricadere una parola quale templum o coenobium” presente in un’altra epigrafe di cui a breve si scriverà (infra: L’iscrizione del giardino). La lacuna tra le parole nostrae ed ex dovrebbe comprendere circa tre caratteri (come dimostrerebbe la più sicura integrazione di [tem]porum alla seconda linea) e probabilmente vi ricadeva una parola abbreviata, quale filius o frater”, riferita a Serafino da Squillace (il quale, francescano osservante, fu arcivescovo di Otranto nel 1480-1514); anche in questo caso abbiamo preferito lasciare la questione aperta. Per l’integrazione proposta all’inizio della seconda linea di testo ci siamo basati sull’opera In memorabilibus Hydruntinae Ecclesiae epitome di Francesco Maria DE ASTE (edita una prima volta a Benevento nel 1700; ristampata a Leida nel 1723 nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, tomo IX parte 8). Oggetto di essa sono gli aspetti e i fatti storici più importanti della Chiesa otrantina. Oltre che per ragioni legate alla carica ricoperta dall’autore, che fu arcivescovo di Otranto (1690-1719), lo scritto si presenta ben documentato per sue caratteristiche interne, dal momento che in esso sono citati documenti (epigrafici e d’archivio) tuttora leggibili. Nella brevissima parte riservata ai conventi della città, allora esistenti o scomparsi, possiamo leggere a proposito del convento di San Giovanni Battista degli Osservanti: «[…] In suburbano tractu quatuor adsunt caenobiorum aedificia. […] Secundum prope littus ab Occidente aestivo fratrum est eiusdem Franciscanae familiae ab Observantia, a beatae memoriae Archiepiscopo Hydruntino post Turcarum acerrima demolimina restitutum. […]». La sorprendente aderenza dell’Epitome alla serie 1 non è solo un’evidente traccia che conduce al convento di San Giovanni, ma costituisce anche una fonte sicura per la ricostruzione del nostro testo. Infatti sembra che il De Aste non abbia fatto altro che riprodurre quasi alla lettera un’intera frase della serie 1, volgendo semplicemente il costrutto da attivo a passivo: «archiaepiscopus hidruntinus […] post Turcarum acerrima [demoli]mina restitu[it]» diventa «a […] Archiepiscopo Hydruntino post Turcarum acerrima demolimina restitutum».

Nella serie 4 l’integrazione proposta si basa su un documento fotografico che testimonia, tra l’altro, il riuso di almeno due dei conci attualmente recuperati. Infatti, oltre al primo concio della serie 1, collocato nella parte superiore del muro oggetto della foto, è possibile riconoscere, nella parte inferiore dello stesso muro, il concio costituente il frammento della serie 4. L’identificazione è consentita dalla profonda incisione perpendicolare rispetto alla linea di scrittura.

La serie 5 non pone particolari difficoltà in sede di restituzione del testo; ci limitiamo a segnalare che esso contiene un riferimento a due versetti dell’ufficio divino per il 24 giugno, giorno in cui ricorre la natività di san Giovanni Battista: «[…] INTER NATOS MULIERUM NON SURREXIT MAIOR IOANNE BAPTISTA […]» (Breviarium Romanum, Roma 1570, p. 730); versetti che, a loro volta, sembrano rifarsi al testo evangelico (Mt 11, 11 «Amen dico vobis, non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista […]», Biblia sacra vulgatae editionis, Roma 1592). Per quanto riguarda, poi, la lacuna alla seconda linea (non più di tre o forse quattro caratteri), riteniamo di non aver elementi per proporre un’integrazione in particolare; in essa ricade quasi certamente un’indicazione cronologica in forma abbreviata, quale «AN(N)O», «A(NNO) D(OMINI)», «A(NNO) R(EPARATAE) S(ALUTIS)» e simili.

L’analisi condotta finora sembrerebbe fornire elementi sufficienti per attribuire i frammenti epigrafici a una sola realtà architettonica; la fortunata coincidenza riscontrata fra il testo del primo frammento e l’opera del De Aste sembrerebbe identificare tale contesto con il convento di San Giovanni Battista degli Osservanti.

Riflessioni

Alle ipotesi di ricostruzione del testo avanzate finora riteniamo se ne possa aggiungerne qualcun’altra, nonostante degli aspetti innegabilmente problematici.

Il De Aste, nel passo già citato, immediatamente dopo l’accenno al convento di San Giovanni, scrive: «[…] Tertium supra Portum ad septentrionem est Capuccinorum usque de anno 1594 singulari Hydruntinorum omnium charitate erectum. […]». Non può sfuggire, anche qui, una sorprendente aderenza testuale ai frammenti in nostro possesso; infatti, adottando il criterio evidenziato in precedenza, dal costrutto passivo «singulari Hydruntinorum omnium charitate erectum» dell’Epitome ricostruiamo un costrutto attivo «singularis Hydruntinorum omnium c[haritas erexit]» che ci consentirebbe di fissare una precisa sequenza per il testo dei frammenti appartenenti alle serie 1, 2 e 4 e di integrare il frammento della serie 4. Per un verso il condizionale è d’obbligo, dal momento che l’affermazione del De Aste si riferisce al convento dei Cappuccini e non a quello degli Osservanti; per l’altro risulta difficile credere che sia frutto di una coincidenza il fatto che a brevissima distanza nella stessa opera (l’Epitome) si susseguano due espressioni che ricalcano altrettante frasi di un altro testo (cioè quello che ricostruiamo) che, a loro volta, si susseguono a brevissima distanza e per di più nello stesso ordine. Che cosa può essere accaduto? Quello che ipotizziamo, con ogni prudenza, è che in fase di redazione della sua opera il De Aste abbia confuso la fonte sul convento degli Osservanti e la fonte sul convento dei Cappuccini (anche in questo caso, forse un testo epigrafico), proprio a causa della presenza in entrambe di un richiamo all’intervento caritatevole di tutti gli Otrantini; in questo modo parte del testo delle serie 1, 2 e 4 sarebbe stato utilizzato in relazione al cenobio dei Cappuccini e la svista sarebbe passata sotto silenzio in quanto la frase in questione poteva riferirsi sia all’uno che all’altro convento. Ad ogni modo, ove così non fosse, non crediamo che si possa ritenere destituita di ogni fondamento l’ipotesi ricostruttiva dei frammenti 1, 2 e 4 che abbiamo appena avanzato, dal momento che, in ultima analisi, l’opera del De Aste rappresenta un’attestazione altamente qualificata di usus scribendi del contesto storico-culturale che ha prodotto e a cui era destinato il messaggio affidato al testo epigrafico che qui si sta analizzando.

Come abbiamo evidenziato all’inizio, le serie 2 e 4 presentano una sola linea di testo decentrata verso il margine superiore del concio; al di sotto di essa, come dimostra la verifica delle dimensioni, vi è spazio sufficiente per accogliere una seconda linea. Inoltre la serie 2, in particolare, con un specchio epigrafico articolato su due piani, presenta una situazione speculare a quella della parte destra della serie 5. Questa, a sua volta, ospita due linee di testo, la seconda delle quali si presenta decentrata verso sinistra rispetto ai margini laterali del frammento stesso, pur avendo il significato tipico delle frasi brevi che, spesso, nelle iscrizioni coeve sono collocate alla fine e alla metà della larghezza dello specchio epigrafico. Ipotizzare che le serie 2 e 4, come le abbiamo ricostruite, siano da collocare a sinistra della serie 5 significa ristabilire la posizione di centralità della seconda linea di testo di quest’ultimo. Le serie 2, 4 e 5 andrebbero così a costituire una porzione epigrafica più ampia, caratterizzata da elementi compatibili (per lunghezza media dei conci, specchio epigrafico articolato su due piani analogamente alla serie 1, dimensione e spaziatura dei caratteri), con un testo che, ricostruito in via ipotetica, risulta coerente da un punto di vista strettamente grammaticale e sintattico.

A questo punto non resta che riassumere tutto quanto detto finora in una lettura congiunta delle serie 1, 2, 4 e 5 così come segue:

[TEMPLUM H]OC SE[RA]PHINUS [ARC]HIAEP(ISCOPUS) HIDR(UNTINUS) RELIGIONIS NOSTRAE [… E]X MAG[N]A PARTE POST TU[R]CARU(M) [A]CERRI=/[MA DEMOLI]MINA RESTITU[IT] EXIMIA PIETATE AC OPERA OLIM [TEM]PORU[M] [IN]IURIA C[O]LLAPSU(M) SINGULARIS // [H]YDRUNTINORUM O[MNIUM CHARITAS EREXIT DIV]O IOANNI [BAP]TISTAE, QUO IN[TER N]ATOS MULIE[R]U(M) NON SURREXIT MAIOR. / LAUS DEO […] .1661.

«Questo tempio Serafino, arcivescovo di Otranto, […] del nostro ordine, in gran parte restaurò con devozione e cura straordinarie dopo le terribili devastazioni dei Turchi; già rovinato per l’ingiuria del tempo, la singolare // carità di tutti gli Otrantini eresse in onore di san Giovanni Battista, rispetto al quale nessuno sorse più grande tra i nati da donna. Lode a Dio […] 1661.»

Finora abbiamo solo accennato alla serie 3, l’abbiamo descritta brevemente e ne abbiamo trascritto il testo, proponendo due integrazioni che non pongono particolari problemi. Essa, pur avendo caratteristiche epigrafiche e paleografiche comuni agli altri frammenti (in particolare a quelli delle serie 2, 4 e 5), sembra che rechi un testo estraneo al messaggio ricavabile dalla lettura degli altri testi. Anzi, la presenza del termine «[CAT]HEDRALIS» potrebbe rinviare a Serafino da Squillace (che appunto si occupò del restauro della sua cattedrale devastata durante l’occupazione turca), ma, come si può constatare, il testo che si ottiene dalla ricostruzione che abbiamo proposto non lascia spazio al frammento della serie 3; infatti il riferimento al presule otrantino risulta sintatticamente blindato tra una formula con cui abitualmente iniziano molte iscrizioni («[TEMPLUM/COENOBIUM H]OC») e laccenno alle ragioni che porteranno allintervento degli Otrantini («OLIM [TEM]PORU[M IN]IURIA C[O]LLAPSU(M)»). Tuttavia, come stiamo per vedere, non mancano tracce che permettano di ricondurre anche questo frammento allo stesso contesto architettonico da cui provengono gli altri.

 

L’iscrizione del giardino

La ricostruzione che fin qui abbiamo cercato di portare avanti sembra trovare sostegno in un recentissimo scritto di Paolo RICCIARDI (La coadiutoria di S. Antonio da Padova nell’ottavo centenario della venuta di s. Francesco d’Assisi in Otranto (1219-2019), Galatina 2018, p. 31). Riproduciamo fedelmente quanto l’autore scrive (purtroppo senza citare la fonte) in relazione all’ormai scomparso convento degli Osservanti di Otranto intitolato a San Giovanni Battista:

«[…] Sulla porta maggiore del giardino annesso al Convento esisteva un’Iscrizione, che riportiamo parzialmente, nella parte leggibile:

Postremam orientalis hostis post invasionem in qua civitas haec in Deum ac Regem fide prefulgens… Seraphinum e Minoribus observantia primum archiepiscopum hydruntina sedes habuit, ac pietati quidem consonum fuit ut sathanicum post odium ac bulimiam… dignaretur sacer hic antistes coenobium hoc D. Ioanni Baptistae construxit… temporis vero incuriis collapsum Hydruntinorum vivida pietate surrexit».

Possiamo immediatamente notare che tanto quest’iscrizione quanto il testo che abbiamo cercato di ricostruire richiamano entrambi alcuni aspetti comuni: un intervento edilizio, successivo all’occupazione turca del 1480, attribuito a Serafino da Squillace, e, da quanto noto dell’iscrizione del giardino, legato alla pietà degli Otrantini che la serie 5, in particolare, fisserebbe al 1661.

In sostanza sembra che i due testi, quello del RICCIARDI e quello che si sta studiando, provengano dallo stesso convento. Ma a questo punto siamo anche obbligati a chiederci se è possibile che alcuni dei materiali iscritti (serie 1-5) facessero parte dell’epigrafe del giardino; ovviamente la risposta che possiamo dare, in assenza di ulteriori indicazioni che consentano una valutazione completa della fonte del RICCIARDI, è provvisoria (anche perché sembra di capire che il testo riportato sia una parte di quello leggibile). Ad ogni modo, confrontando il testo che fornisce l’autore con quello inciso su ciascuno dei conci, possiamo escludere che questi provengano dall’iscrizione del giardino ad eccezione, per il momento, di quelli che costituiscono la serie 2 e dell’unico concio appartenente alla serie 3 (con qualche lievissimo dubbio circa il primo concio della serie 5, benché l’organizzazione delle linee di scrittura sembri coerente con la collocazione già assegnatagli e benché, per di più, presenti il testo «[DIV]O IOANNI» a fronte del «D. IOANNI» che dà il RICCIARDI). Nel caso della serie 2 («[H]YDRUNTINORUM»), per un verso, i conci rivelano un testo che si presenta isolato, cioè non ha intorno altre parole o lettere che possano suggerire un contesto preciso; per altro verso, però, le caratteristiche epigrafiche, come abbiamo visto, sembrano collocare la serie 2 con una certa sicurezza al margine sinistro di una più ampia porzione comprendente anche le serie 4 e 5. Invece, nel secondo caso, cioè la serie 3 («…[CAT]HEDRALIS… / …[CON]STRUXIT A[…]»), la parola leggibile alla seconda linea sembrerebbe avere il suo corrispettivo nell’iscrizione del giardino con la conseguenza che la parola leggibile alla prima linea ricadrebbe in quella che viene indicata dal RICCIARDI come una lacuna; non una qualsiasi, perché in essa, a quanto pare, potrebbe ricadere proprio un riferimento al restauro della «[CAT]HEDRALIS» voluto da Serafino da Squillace.

 

Come abbiamo visto, il testo dei frammenti e l’iscrizione del giardino riferiscono a quelli che adesso sembra plausibile ritenere due interventi edilizi. Un utile riscontro documentato della vicenda costruttiva si trova nell’opera dell’annalista francescano Lukas WADDING, il quale data la fondazione del convento al 1499, riportando un documento pontificio del 5 ottobre di quell’anno (Annales Minorum, tomo VII, Lione 1648, p. 420; appendice, pp. 156-157). Con quel documento papa Alessandro VI, venendo incontro alle richieste della comunità otrantina, incarica Serafino da Squillace e il benedettino Giovanni Giorgio (vescovo di Castro, 1491-1501) di concedere la licenza per la costruzione di un convento di Minori osservanti dedicato a san Giovanni presso una piccola chiesa preesistente intitolata allo stesso santo, con la possibilità di demolire quest’ultima e riutilizzarne i materiali. In questo modo il Wadding correggeva quanto egli stesso aveva affermato in precedenza datando la fondazione al 1450 (Annales Minorum, tomo V, Lione 1642, p. 588); indice proposto decenni prima da un altro storico dell’Ordine, Francesco GONZAGA (De origine seraphicae religionis Franciscanae eiusque progressibus, de regularis Observantiae institutione etc., volume I parte II, Roma 1587, p. 402). Il contributo del Wadding (evidenziato già dagli editori-continuatori degli Annales Minorum è ribadito da padre Benigno Francesco PERRONE, La Regolare osservanza francescana nella Terra d’Otranto, Galatina 1993, volume II, pp. 45-53); tuttavia, anni dopo l’intervento del WADDING, padre Bonaventura DA FASANO, richiamandosi esplicitamente al GONZAGA, ripropone come anno di fondazione il 1450 (Memorabilia Minoritica provinciae Sancti Nicolai ordinis Minorum Regularis Observantiae, Bari 1656, p. 65); successivamente, altri storici che accennano all’argomento sembrano accogliere l’idea di un intervento di restauro da parte di Serafino da Squillace realizzato a partire dalla data di emissione del documento pontificio.

 

Di fatto, quell’oscillazione fra 1450 e 1499, come anno d’inizio della presenza dei Minori Osservanti a Otranto con un loro convento, non appare risolversi attraverso quelle fonti. Forse qualche indizio in più proviene proprio da quanto emerge dall’epigrafe composta dalle serie 1, 2, 4, 5 e, ma solo con maggiore cautela per la mancanza della fonte da cui è stata tratta, dall’epigrafe del giardino così come riportata da RICCIARDI.

Nel documento del 1499, è utile ripeterlo, si scrive della facoltà concessa di costruire una chiesa in presenza di altra distrutta ma, soprattutto, non si fa alcun riferimento al fatto che, già in precedenza, esistesse un convento francescano (il che, a ben vedere, sarebbe stato un ulteriore elemento perché i richiedenti cittadini di Otranto avessero una risposta positiva dal pontefice); d’altro canto il medesimo documento, tanto più unitamente alla notizia relativa al 1450, pone dei dubbi rispetto al fatto se esso sia un vero e proprio atto di fondazione”.

Nel documento pontificio si scrive chiaramente di una chiesa preesistente dedicata a san Giovanni da incorporare al costruendo convento degli Osservanti. Benché dalla richiesta della comunità otrantina si evinca la possibilità di demolire il vecchio edificio, non possiamo essere certi che questo sia avvenuto. Anche a prescindere, poi, dal fatto che la chiesa fosse stata restaurata o costruita ex novo in situ, non è improbabile che la permanenza dell’invocazione a san Giovanni facesse percepire quell’azione edilizia, avvenuta durante l’episcopato di Serafino da Squillace, come una restitutio e che, in qualche modo, come tale quell’intervento fosse documentato. Da rilevare, inoltre, che, sempre nel medesimo documento, non si fa riferimento all’esistenza di un convento propriamente detto (dalle forme più o meno consuete: un chiostro circondato da portici e ambienti di servizio e così via ad esempio); ciò però non esclude, allo stato attuale delle ricerche, che esistessero ambienti destinati a quell’uso andati completamente distrutti durante l’invasione turca.

Il testo delle serie 1, 2, 4, 5 (soprattutto unitamente a quello del giardino), benché siano ignote le fonti da cui il redattore ha tratto le notizie riportate in entrambi i casi, potrebbe fermare l’oscillazione di cui si diceva spingendoci a non escludere l’ipotesi che il convento possa essere stato realmente fondato nel 1450 (ciò, in particolare, alla luce del fatto che nell’iscrizione del giardino è una lacuna proprio poco prima del riferimento all’azione del tempo come fattore di degrado dove, confrontando con il testo delle serie dette, potrebbe esservi stato anche uno specifico riferimento alla distruzione turca anche per gli ambienti del cenobio). Fortemente danneggiato durante la nota invasione del 1480 il convento (?) fu abbandonato a lungo tanto che allo stato di degrado, causato dagli eventi bellici, si aggiunse anche l’ingiuria del tempo. La data del documento del 1499 diventa in ogni caso un preciso termine cronologico, significativo non solo per la storia edilizia di quell’intervento di recupero ma, più in generale, per quella che fu la lunghissima fase di ricostruzione, già attestata da altre fonti, della città di Otranto e dei suoi monumenti, anche religiosi. I diciannove anni che separano l’invasione turca dalla ricostruzione del complesso (chiesa, convento?) dove, sicuramente dal 1499 in poi, ebbero la loro casa i Minori Osservanti otrantini non deve quindi affatto sorprendere.

 

Conclusioni

Giunti, quindi, all’analisi dei testi presenti sui frammenti che si è cercato brevemente di descrivere, vale la pena esplicitare alcuni interrogativi che hanno mosso la presente ricerca ovvero:

I materiali lapidei e quindi i frammenti epigrafici individuati provenivano originariamente dal medesimo contesto architettonico? Quale?

I frammenti appartenevano a un solo specchio epigrafico (benché articolato su due piani, come nei frammenti 1, 2, 5)?

Nel caso di appartenenza a più specchi epigrafici, siamo di fronte ad un testo concepito unitariamente o a più testi?

 

Le considerazioni svolte fin qui, oltre che sottolineare l’importanza come fonti storiche delle epigrafi rinvenute, ci spingono a ritenere che i frammenti delle serie 1, 2, 4 e 5 provengano dalla chiesa di san Giovanni; ciò spiega, inoltre, perché nel risolvere la lacuna iniziale della prima serie (concio n. 1), tra le due opzioni che abbiamo indicato, sia stata preferita l’integrazione templum anche, e forse soprattutto, per ragioni dimensionali. La serie 3 (composta da un solo concio) è estranea alle precedenti per via della completezza delle medesime. In termini generali i testi, pressoché simili nelle loro dimensioni, occupano quella che è la fascia del fregio di una trabeazione cui probabilmente appartengono i frammenti di architrave a fasce e di cornice rinvenuti assieme ai conci epigrafici. Le differenze dimensionali rilevate e la stessa, seppur sottile, diversa caratterizzazione delle lettere lasciano supporre che i conci provengano non da un unico specchio epigrafico ma da tratti diversi del fregio della medesima trabeazione, probabilmente contigui tra loro per via della stessa contiguità di significato dei rispettivi testi. Le lievi sporgenze, pari a 5 cm. circa, rilevate in corrispondenza dei risalti del fregio posti alle estremità dei testi, lasciano altresì supporre di essere in presenza di un sistema architravato sostenuto da paraste la cui ampiezza in corrispondenza del fusto si aggira intorno ai 46 cm. Plausibilmente le serie 1, 2, 4 e 5 provengono dall’interno della chiesa. Particolarmente interessanti le serie 2 e 4 perché i testi occupano solo i righi superiori. Questo dato va messo in relazione con quanto rilevabile nella serie 5 dove la maggior parte del testo occupa il rigo superiore. Il rigo sottostante, sempre della serie 5, contiene un più breve testo rispetto al quello del primo rigo in cui è quella che potrebbe definirsi l’invocazione tradizionale e la data cronologica con l’indicazione dell’anno, il 1661. La tipologia e la caratterizzazione delle lettere componenti le serie 2, 4 e 5 appaiono più simili fra loro che non a quelle componenti la serie 1 già di suo completa rispetto al testo. Abbiamo ipotizzato che i frammenti delle serie 2 e 4 fossero di fatto la parte sinistra di un’unica grande epigrafe di cui la serie 5 compone poco più della parte destra (1° rigo) e tutta la centrale (2° rigo). La verifica dimensionale unitamente alla ricostruzione del testo ha consentito di confermare questipotesi in virtù della quale la «D» di «LAUS DEO» corrisponde alla mezzeria della grande epigrafe che, riteniamo, sia quella di un tratto interno della chiesa la cui ampiezza lineare, paraste liminari incluse, risulterebbe essere pari a circa otto metri. Il testo dell’epigrafe più lunga: «[H]YDRUNTINORUM O[MNIUM CHARITAS EREXIT DIV]O IOANNI [BAP]TISTAE, QUO IN[TER N]ATOS MULIE[R]U(M) NON SURREXIT MAIOR. / LAUS DEO […] .1661.» potrebbe essere stato collocato più probabilmente in corrispondenza dall’arco trionfale della chiesa oppure anche sulla parete di fondo del coro. L’altra epigrafe, invece, quella cioè composta dai frammenti appartenenti alla serie 1 avrebbe avuto un’ampiezza pari a circa 5.80 metri. Il legame narrativo e la natura geometrica che caratterizzano i due testi (serie 1; 2, 4, 5) portano a supporre che essi fossero contigui (ma non congiunti). Nulla sappiamo al momento della struttura spaziale della chiesa; non escludiamo che potesse avere una sola navata. La prima epigrafe (serie 1) potrebbe essere stata collocata nell’ultima campata a sinistra, a ridosso dell’arco trionfale sormontato dalla seconda grande epigrafe (composta dalle serie 2, 4, 5). Non è da escludere, però, che entrambe fossero collocate, come già accennato, nel coro dove, in particolare, la prima (serie 1) sarebbe relativa al muro laterale a sinistra del coro medesimo; plausibile, infine, che per simmetria vi fosse altro e ultimo tratto epigrafico (serie 3?) collocato nel fregio posto sulla parete di fronte a quella contenente la serie 1.