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Otranto, Scoperte / Com’era l’altare dei Martiri realizzato nel 1524 da Riccardo

Epitome

Circa cinque secoli ci separano da quel “1524” inciso su una delle quattro “colonne” che, nella cattedrale di Otranto, un tempo costituivano l’altare, precedente l’attuale, dedicato ai Martiri di quella città.

Sono esattamente 495,76 anni, o meglio, 181.076 giorni, 4.345.822 ore, 260.749.340 minuti. E se questi numeri nulla dicessero ancora, si provi a pensare quanto ”eterna” possa apparire anche solo quella frazione di minuto cui a volte ci obbliga l’apertura di una semplice mail.

Quei circa cinquecento anni cui si accennava appaiono ancora più lontani e pesanti sia nel momento in cui consideriamo la figura di Gabriele Riccardo, autore di quell’altare, sia quando si costata che, di fatto, non è mai stata tentata una completa ricostruzione di quell’altare su base scientifica. Enigmi e misteri si sono quindi infittiti in un’intricata matassa che ha unito in più l’autore di quell’altare con la vicenda tragica dei Martiri otrantini.

Va segnalato subito, intanto, che quanto a breve seguirà è scaturito da un’analisi di documenti già noti, alcuni da molto tempo, altri meno. Arnaldo Bruschi, in una delle sue lezioni di Storia dell’Architettura III annualità presso la prima Facoltà di Architettura di Roma, sollecitato da chi scrive, durante una lezione, a indicare se esistesse “la ricerca storica perfetta”, rispose essere probabilmente quella in cui non esistono nuovi documenti storici e ciò perché lo studioso è chiamato a una prova, a un’analisi ancora più dura e serrata.

Fondamentali in questo studio sono stati due testi: il primo edito nel 1660, il secondo, invece, relativo a un viaggio compiuto nel 1531, è stato solo recentemente pubblicato. E’ da precisare che la seconda fonte, in francese del Cinquecento, fornendo però ben due valori di una sola misura dell’altare di Riccardo, è stata più utile dal punto di vista descrittivo(in effetti pochi elementi anche in questo caso) che non dimensionale. La fonte seicentesca, in latino, invece, importante lo è stata più della prima, benché, rispetto a quest’ultima, fornisca, in effetti, appena qualche misura in più. Per la ricostruzione dell’altare è stato necessario quindi tradurre un testo dal latino in forme geometriche integrando e verificando più fonti contemporaneamente. Tutto ciò ha preso avvio dal rilievo diretto di quella parte di cattedrale, cercando di trovare una risposta formale annidata principalmente fra descrizione, geometria e problemi costruttivi.

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Quest’analisi ha per oggetto, come accennato in precedenza, la ricostruzione dell’altare cinquecentesco che, nella cattedrale di Otranto (cappella sul fondo, navata destra), era dedicato ai celebri Martiri dell’eccidio del 1480; l’altare esistente, come noto, è opera invece risalente al 1711. E’ necessario fare subito delle precisazioni per una maggiore chiarezza espositiva. Dell’altare cinquecentesco sono sopravvissuti solo quattro fusti di colonna e altrettanti capitelli oggi esposti nella navata destra della medesima cattedrale. Su uno di quei fusti (quello in posizione A, il più vicino cioè alla scala che conduce alla cripta) è inciso in una tabula ansata il nome di Gabriele Riccardo (notizie: 1524-1572), artefice di quanto rimane di quell’opera. Al momento non abbiamo documenti che impediscano di ritenere tale celebre scultore e architetto come l’autore dell’intero altare; non abbiamo altresì documenti che attestino un’ulteriore ricostruzione del medesimo nel periodo compreso fra il 1524 (anno inciso in altra tabula sul fusto in posizione D) e il 1660, anno di pubblicazione della relazione descrittiva del canonico Pompeo Gualtieri che di quell’altare fornì le principali misure in quest’analisi usate come fonte primaria. Non abbiamo, infine, fonti per affermare che l’intervento di Riccardo si sia limitato solo alla realizzazione (progettazione ed esecuzione) di quell’elemento architettonico destinato in modo specifico alla custodia ed esposizione delle ossa dei Martiri; nella già qui ricordata relazione di Gualtieri si segnala, infatti, un ampliamento delle due absidi (oggi non più esistenti) piccole in direzione delle rispettive navate laterali.

C’è da aggiungere, infine, e ciò vale naturalmente da un punto di vista metodologico, che la ricostruzione qui proposta è il frutto di un iter quantomeno articolato se non addirittura complesso in alcuni suoi tratti. Per tale ragione, al fine di agevolare la lettura, si è deciso di affrontare l’argomento per gradi. In questa prima fase, in sostanza, si è preferito fare riferimento alla descrizione dimensionale fornita da Gualtieri (prima fonte, la seconda è una relazione del benedettino Dom de Loupvent che, di fatto, fornisce solo una dimensione dell’altare ma in due varianti) senza alcuna forzatura. A tratti, quindi, la ricostruzione può apparire incompleta, non raffinata nei dettagli; la messa a sistema di quelle misure, si evidenzia subito, non ha rilevato contraddizioni significative e insormontabili in fase di realizzazione del disegno dell’altare.

Come in più circostanze osservato la figura di Gabriele Riccardo è avvolta da una sorta di mistero per il semplice fatto che poche, in realtà, sono le sue opere pervenuteci e ancor meno i documenti che lo riguardano direttamente. A Lecce, una fonte letteraria (Giulio Cesare Infantino, Lecce Sacra, 1631) gli attribuisce la chiesa di Santa Croce ancora oggi esistente; la cappella dei Martiri a Otranto, secondo la ricostruzione che si propone, diventerebbe (con tutte le cautele sopra espresse) così la seconda opera architettonica analizzabile di questo artista. Al di là del fatto che la ricostruzione della cappella dei Martiri sia un’operazione inedita fino ad ora, capire come essa fosse fatta significa mettere le mani nella stessa materia architettonica di Riccardo.

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Il primo passo che si è dovuto compiere in questo processo è stato quello di ricostruire la situazione che con più probabilità Riccardo si è trovato di fronte, in altri termini il contesto. Quest’ultimo era la cattedrale di Otranto ma non come oggi la vediamo; in particolare interessa la parte terminale della navata destra, conclusa a quell’epoca da una piccola abside, oggi non più esistente perché abbattuta nel 1711 per la realizzazione dell’attuale cappella.

Gualtieri informa, perché evidentemente così le vedeva, che le due absidi piccole della cattedrale, rispetto al prospetto esterno posteriore, si elevavano perpendicolarmente senza variazioni (quelle ipotetiche del filo interno sono state omesse nella ricostruzione). Partendo da questo dato si sono sovrapposte le piante della cripta e del piano di calpestio della cattedrale, ottenendo quindi la planimetria con abside piccola nella navata destra che Riccardo ebbe con ogni probabilità davanti agli occhi prima di intervenire (Fig. 1).

Il punto di partenza della composizione architettonica è la semicirconferenza dell’abside piccola destra; quella parte di circonferenza è completata e chiusa dal progettista generando uno spazio che ha il presupposto di un quadrato avente per lato quei 18 palmi riportati da Gualtieri (questi in realtà scrive “piedi” ma riteniamo, sulla base del rilievo, che “palmi” sia l’unità di misura più corretta). Da notare che l’ingombro planimetrico della cappella di Riccardo si è rivelato non dissimile da quello dell’attuale (Fig. 2).

Gli aspetti più interessanti, però, emergono nella ricostruzione dell’alzato. C’è da ricordare che, nonostante la legittima, intensa, costante attenzione che la storiografia ha riservato a questo scultore-architetto, nessuno fino ad ora aveva mai provato a ricostruire l’altare, almeno sulla base di un’analisi sistematica. Solo nel 1989 è stata formulata l’ipotesi che le quattro colonne formassero un «ciborio» (termine mai presente nei documenti storici noti fino ad oggi) e cioè una struttura isolata, a sormontare un altare, come tante di epoca medioevale ne esistono ancora anche in Puglia. In tempi più recenti (2004), accettando l’idea del «ciborio», un altro studioso si è concentrato sul tentativo di comprendere l’originaria posizione reciproca delle quattro colonne superstiti. Entrambe le ipotesi (quella del «ciborio» e l’altra relativa alla posizione reciproca delle colonne) non sono state confermate dalla ricostruzione qui proposta.

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Quello che Riccardo pensa non è, come detto, un «ciborio». Al di sotto di una grande volta a botte, lo scultore-architetto realizza, invece, un unico piano sostenuto dai piedritti dell’arco superiore e dalle quattro colonne superstiti poste nel mezzo. Oggi lo definiremmo, forse, un soppalco. I fusti delle colonne e loro capitelli sono quindi solo una minima parte del materiale scultoreo che costituiva l’opera originaria di Riccardo, molto più ampia, evidentemente, di quanto fino ad oggi immaginato (Figg. 3-8).

Figg. 3-8. Otranto, cattedrale, navata destra, ricostruzione della cappella dei Martiri secondo il progetto di Gabriele Riccardo attraverso la descrizione di Pompeo Gualtieri del 1660

Uno degli aspetti più interessanti, e forse anche divertenti (per le interpretazioni che la storiografia ha fornito) è rappresentato da quella “corona aurea” di cui scrive sia Dom de Loupvent durante il suo viaggio verso Gerusalemme nel 1531 sia, soprattutto, Gualtieri nel 1660. Un notissimo studioso ha ipotizzato addirittura che potesse trattarsi di un oggetto appeso. In effetti, però, sono le informazioni dimensionali dateci da Gualtieri (quella “corona” risulta avere una larghezza di base pari a diciotto palmi e un’altezza di sette), così come la ricostruzione dimensionale (nel suo mettere a sistema tutte le misure), ma soprattutto la storia dell’architettura rinascimentale locale (e non solo) a dare la soluzione a questo aspetto della storia che quelle interpretazioni e silenzi hanno trasformato in un enigma.

La grande corona dorata è, in realtà, una cornice in forma di grande arco che sormonta, facendo da copertura, il soppalco lapideo cui si accennava; essa era ciò che si vedeva all’esterno della copertura a botte di quel vano superiore in cui erano custodite le ossa dei Martiri idruntini. Il termine usato, “corona”, però, fornisce almeno tre dati su cui riflettere: uno, di natura simbolica, legato al fatto che esso è, così come la palma, indicativo del martirio; il secondo aspetto è, invece, di natura più squisitamente artistica perché, infatti, le corone, come quelle presenti in molti stemmi araldici anche scolpiti, presentavano una decorazione realizzata con volute più o meno complete e più o meno incatenate; il terzo e ultimo aspetto è che quest’ultimo tema della corona a volute è presente in modo molto forte nell’architettura rinascimentale leccese (il caso dell’arco superiore che decora la porta principale della chiesa di san Marco è più che indicativo).

Un altro enigma che la ricostruzione ha consentito di sciogliere almeno in massima parte è quello della posizione reciproca delle colonne superstiti riccamente decorate.

Non è stata mai notata fino ad oggi l’esistenza su due dei quattro fusti (quelli in A e D) di una serie verticale di sei fori (tre per colonna) allineati, a sezione rettangolare. Questi fori non sono disposti sulla generatrice corrispondente agli assi principali, segno, plausibilmente, che potrebbe esservi stato un imprevisto in fase di attuazione del progetto. Quei fori servivano, evidentemente, ad alloggiare le grate ferree di cui scrivono i documenti più antichi; da rilevare che sempre quei fori arrivano sino a una certa altezza dall’imoscapo lasciando supporre che nella parte inferiore in realtà potesse esserci una transenna, un pluteo lapideo, ad esempio, su cui poggiava la stessa grata metallica.

La vicenda dei fori risolve almeno due questioni. La prima è quella del posizionamento all’interno del vano della cappella medesima delle quattro colonne in generale e quindi del soppalco rispetto alla volta e all’abside posteriore; le colonne, pertanto, a causa della presenza delle grate devono essere collocate evidentemente sul margine della cappella segnandone il confine rispetto allo spazio della navata destra. Per la stessa ragione le due colonne che occupavano il fronte dell’altare sono quelle adesso in posizione A e D. Per quanto attiene, infine, le rimanenti, quelle oggi in posizione B e C, è necessario soffermarsi su due aspetti rilevabili sui fusti medesimi e loro capitelli. Il primo consiste nel fatto che i vari testi biblici, a cominciare da quelli dei secondi, sono collocati nelle rispettive tabulae secondo il criterio di lettura che va da sinistra verso destra; in secondo luogo si osserva che, rispetto al numero dei libri biblici cui appartengono le citazioni, la successione delle colonne risulterebbe, in via teorica, la seguente D-C-B.

A rigore sarebbero possibili a questo proposito due soluzioni distributive dei fusti, quelli in C e B: la prima di tipo circolare che, in senso antiorario, vedrebbe subito dietro la colonna D, posta sul fronte a destra, quella C e quindi quella in B dietro l’altra in A. La seconda soluzione che andiamo a esporre riteniamo sia, invece, la più probabile perché sfrutta ancora un criterio già riscontrato nella distribuzione dei testi biblici anche sui capitelli oggi in C e A (applicato però a un modo di lettura per piani: uno anteriore e un posteriore) dove i testi dell’Apocalisse sono incisi su tabulae in verticale cominciando da quelle a sinistra e procedendo in senso antiorario. L’articolazione finale per le ultime due colonne da fissare sarebbe quindi la seguente: in un secondo piano prospettico (quello sul fondo), dietro il fusto oggi in A (nella ricostruzione è la colonna in primo piano a sinistra) si colloca quello oggi in C e dietro quello frontale oggi in D si collocherebbe quello oggi in B.

A ben vedere, poi, questa soluzione offre un vero e proprio sistema narrativo circolare che esordisce quindi con la colonna oggi in A (nella ricostruzione: in primo piano a sinistra) dove i Giusti, nudi, invocano la vendetta; subito dietro questa prima, la colonna oggi in C dove sempre i Giusti e sempre nudi “gioiranno” per la punizione che sarà impartita da Dio; a fianco di quest’ultima è la colonna oggi in posizione B dove la sconfitta degli empi è oramai avvenuta; davanti a questa colonna, e così ritorniamo sul piano frontale, si colloca la colonna oggi in posizione D che chiude il ciclo narrativo: la punizione divina è compiuta e le ossa dei Giusti possono finalmente trovare pace. I capitelli, infine, oggi in C e A, quelli con i testi tratti dall’Apocalisse, sono da collocarsi, nella ricostruzione, rispettivamente sui fusti in A e D, quelle messe in primo piano; le altre, a soli motivi vegetali, sulle colonne del piano prospettico posteriore.

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La ricostruzione dell’altare (Figg. 3-8), a meno di alcuni dettagli che si chiariranno in successivi interventi, è quindi definita. Rimane da capire meglio quale potrebbe essere il riferimento culturale o meglio figurativo cui avrebbe potuto attingere Riccardo in fase d’ideazione del progetto. In questo senso è da tenere a mente sempre, però, un aspetto che, per quanto prosaico, riteniamo sia stato fortemente vincolante nella redazione della proposta progettuale di Riccardo: oltre alla necessità di esposizione delle reliquie, la questione più importante cui l’opera architettonica doveva dare una risposta era certamente l’enorme quantità delle ossa dei Martiri.

Per trovare quella che potrebbe essere stata la matrice originale del progetto, i cui elementi costitutivi sono un’abside e un sistema di colonne su due piani prospettici, non bisogna spingersi, però, troppo lontano dalla stessa cattedrale perché, infatti, per la cappella, Riccardo propone uno schema compositivo molto simile ad altro già presente nella cripta, dove una doppia fila di colonne sorge dentro lo spazio dell’abside centrale e quelle centrali delimitano ulteriormente lo spazio destinato all’altare principale. Le analogie compositive non sono, però, solo di tipo generale. Si è rilevata, infatti, anche una forte vicinanza fra le dimensioni dei fusti presenti attorno all’altare maggiore in cripta e gli analoghi elementi architettonici appartenenti all’altare di Riccardo; si aggiunga, inoltre, che, rispetto al tema della decorazione, si constata in entrambi i casi (colonne centrali attorno all’altare maggiore della cripta e quelle di Riccardo) una variazione a circa la medesima altezza; nel primo caso cambia il sistema decorativo, nel secondo, la variazione è, invece, nell’intensità della decorazione. Quest’ultima fa dividere i fusti in due parti; quella inferiore è pari a circa un metro. Non è da escludere che questa vicinanza compositiva, non sappiamo però quanto realmente voluta dal solo Riccardo, potrebbe trovare una ragione nel fatto che, prima di essere collocate nell’altare del livello superiore della cattedrale, le ossa erano state ospitate in una fossa proprio nella cripta; non è da escludere che di questo passaggio si sia voluto serbare indirettamente il ricordo.

Ferme restando le esigenze funzionali e compositive, Riccardo rimane comunque un artista rinascimentale; non mancano, infatti, una serie di riferimenti figurativi per la soluzione adottata in senso più o meno esteso. Con questo non si vuol dire che lo scultore e architetto abbia visto gli esempi di seguito proposti ma solo dimostrare una sua significativa coerenza e vicinanza con il dibattito culturale suo contemporaneo. Un primo riferimento sembra possa trovarsi in una soluzione architettonica rilevabile anche nelle terme di Caracalla, là dove cioè si adotta la soluzione di un grande arco, più o meno chiuso da grate, al di sotto del quale, due colonne sostengono una trabeazione che si estende fino ai piedritti del medesimo arco superiore (Figg. 9-10)

Non meno pertinente è pure la cosiddetta Veduta di città ideale (Fig. 11)

dove quattro colonne sostengono, così come accade nell’altare di Riccardo, un soffitto (lì cassettonato, sembra, nel caso a Otranto non è noto come fosse rifinito); soluzione simile, infine, compare anche nella villa Farnesina a Roma (Fig. 12), dipinta illusionisticamente nel 1518-1519, da Baldassarre Peruzzi e aiuti.

Non possiamo escludere, sulla base di quanto sta emergendo, la presenza di un ordine architettonico ad inquadrare tutta la parte centrale esterna dell’altare, né la presenza di un attico che spingerebbe a includere fra i modelli di riferimento anche quello di un arco trionfale. Altri approfondimenti in corso potrebbero sciogliere anche quest’aspetto.

Per completezza segnaliamo anche quanto emerge dal testo del Gualtieri (Fig. 13)

a proposito della cattedrale otrantina, dove il rilievo conferma quanto riportato dal detto canonico, ovvero che il rapporto fra navata centrale e quelle laterali è di 1 a 2; il rapporto (1 a 4) fra ampiezza della navata maggiore e la sua profondità lascia supporre, infine, che il bema, preso da Gualtieri come riferimento finale, corrisponda circa all’area dell’abside maggiore. Nell’ultima immagine (Fig. 14)

vale la pena proporre una lettura inedita della scultura di Riccardo rispetto al tema della figura umana. Si sono estrapolati i moduli che riteniamo possano aver regolato la figura ignuda di spalle che è scolpita a bassorilievo nella colonna oggi in posizione B: il capo è inscrivibile in un cerchio ed è preso come modulo. Le gambe della figura sono state ricondotte graficamente a una posizione verticale: il modulo prescelto (la testa) si ripete in altezza (fino al tallone) per sei volte e tre quarti di modulo.

Ringraziamenti

All’Istituto dell’Enciclopedia italiana e, in particolare, al Dott. Massimo Bray perché all’inizio dell’analisi storica qui anticipata, quando nulla c’era se non la passione per la verità dei fatti storici, mi dimostrarono e affidarono il valore umano di una parola: fiducia.