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Sant’Oronzo è come Sanremo: tutti lo criticano, tutti (o quasi) ci vanno

di Antonio Greco

Ci sono cose che restano immutabili nel tempo, incastrate nel loro incessante divenire, uguali e diverse allo stesso tempo. A Lecce – ma immaginiamo anche in altre città – la Festa di Sant’Oronzo sfugge ad ogni tipo di logica. Sacro e profano si mescolano meravigliosamente offrendo spunti di riflessione che a volte trascendono in disquisizioni da bar dello Sport.
Cominciamo dal sacro: partecipare alla Processione di venerdì 24 è una tappa d’obbligo non solo per politici e affini (non tutti, per fortuna) desiderosi di mettersi in mostra dietro il simulacro dei Santi protettori, ma anche per fedeli, pellegrini e per quanti decidono di lasciarsi andare dalla corrente silenziosa che si snoda nelle stradine del centro storico, quasi fosse un torpedone folcloristico e à la page. Ma tant’è. Per un giorno siamo tutti devoti.
Sacro e profano, dicevamo. Sant’Oronzo è anche festa, spettacolo, divertimento. Ogni anno puntualmente si apre la diatriba sulle luminarie: troppo poche, bruttine, meglio quelle di una volta, e via discorrendo. La città si divide tra favorevoli e contrari, critici e buonisti. Scene che si ripetono immancabilmente quando la discussione si sposta sulle bancarelle. E in effetti di tradizionale è rimasto ben poco: la cupeta, la scapece, lo zucchero filato, le grattatelle, i mustazzoli,
Accanto a loro ritroviamo mutandine, calze, scarpe, pesciolini rossi, t-shrit di indubbia qualità (e gusto), occhiali, orologi, penne, collane, bracciali, bigiotteria varia, tamburelli, aspirapolveri, cinture, casalinghi usa e getta, zainetti, libri e quaderni, i mitici “piattari”. Insomma, di tutto un po’, per non parlare dei venditori di illusioni come quelli che provano ancora a spillare soldi con “ La ruota della fortuna”. In mezzo ritroviamo pure qualche furbacchione leccese che prova a tirare su un po’ i prezzi per fare cassa. Tutto il mondo è paese.
Signori, benvenuti nella casbah leccese. Ma per tre giorni Lecce è questa. Punto. Di qui non si scappa. Perché anche le mutandine sono entrate oramai nella tradizione. E non fate gli snob, mi raccomando.
Prendere o lasciare. Sant’Oronzo è come Sanremo: appuntamento bersagliato da più parti al quale nessuno (o quasi) vuole (e deve) mancare.