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Tra verità e finzioni: l’altro Salento di Alessia Rollo

“Affondare la propria origine in terra d’Otranto è destinarsi un reale-immaginario”. Così Carmelo Bene a proposito del Salento che gli fece da madre. Parole fortemente evocative che tornano alla mente osservando gli scatti del progetto fotografico Fata Morgana della salentina Alessia Rollo. Classe 1982, fotografa concettuale nomade tra Lecce e Madrid, nelle scorse settimane è volata a Milano portando questo “Sud più a Sud del Sud dei santi” a due importanti appuntamenti per la fotografia internazionale: la mostra-convegno di “Urban Layers – Identity Flows” alla Triennale e il Mia Photo Fair.

– Fata Morgana è “un miraggio” in cui l’identità reale delle cose viene distorta e poi mitizzata. Da dove nasce questa esigenza narrativa così particolare? Ci racconti la genesi di questo progetto?

Fata Morgana nasce da un senso di inadeguatezza e di irritazione. La fotografia per me è il mezzo meno adatto per rappresentare la realtà in maniera esatta e mimetica, ma al contempo il più potente per costruire delle metafore e generare nuovi significati.L’immaginario creato negli anni sul Salento attraverso il marketing territoriale mi è apparso semplificasse estremamente la ricchezza visiva e culturale di questa terra: ho sentito l’esigenza di aprirla a nuovi racconti e visioni.Sono partita da storie minime, realtà poco visibili, cercando di ragionare su alcuni simboli che hanno contribuito a creare un identità reale e mitizzata di questo territorio. Lavoro quasi sempre con messe in scena, cioè creando ad hoc le immagini, oppure utilizzando la realtà  come possibilità e dubbio. Tra verità e finzione credo che queste foto si posizionino principalmente nello spazio del verosimile: è compito dello spettatore completare il loro significato.

– A proposito di verosimiglianza, c’è in Fata Morgana un’immagine particolarmente evocativa dove delle angurie ridotte a brandelli sugli scogli sembrano carne viva. Ci racconti meglio questo scatto?

L’immagine delle angurie naufragate sulla spiaggia è stato il punto di partenza della serie: una riflessione sul linguaggio fotogiornalistico che spesso ci ha abituato a contemplare le sciagure di persone che nel tentativo di approdare sulle nostre coste perdono la vita, offrendo i loro corpi allo spettacolo mediatico. Un invito a pensare cosa sia realmente necessario vedere e mostrare, a riflettere sul potere e l’uso della fotografia nella comunicazione contemporanea.

– Fata Morgana è un work in progress, come tu stessa scrivi. Ecco, credi che sia possibile mettere un punto definitivo a un lavoro così legato alle radici, alla storia personale, al sangue che ci scorre nelle vene?

Fata Morgana è già in sé un racconto illusorio: un tentativo di restituire  complessità all’immagine del Salento, attraverso la lente dell’attraversamento, del paesaggio, dei suoi simboli e della storia. Tutte le immagini sono uno sdoppiamento della realtà, un racconto senza fine, una ricerca fallita sin dagli intenti perché non si può parlare di illusioni e miti senza inevitabilmente crearne di nuovi.Credo che questo progetto serva a interrogarmi sul significato e sul senso di appartenenza ad una terra, a costruire nuovi legami, a scoprire nuove relazioni con e del Salento.Sto continuando a lavorare su questo progetto con l’attitudine che credo di sentire da dieci anni ogni volta che torno: curiosità, dolcezza ma anche inidoneità e ossessione. C’è sempre qualcosa che mi sfugge e scompare quando credo di aver racchiuso qualcosa in un immagine. Forse perché come diceva il protagonista di Lisbona di Wim Wenders “la vita si nasconde ogni volta che gli puntiamo la telecamera davanti”.Probabilmente molti dei tematiche presenti in questa serie si ripresenteranno in futuro in altri progetti, sotto altre vesti. Credo sia sempre determinante per ogni artista la sua personale biografia: sono i segni attraverso cui ognuno elabora i simboli estetici che chiamiamo arte.

– A che punto è lo stato dell’arte fotografica nel Salento secondo te?

Credo che molto si stia facendo negli ultimi anni per creare nel Salento occasioni per vivere e conoscere diversi aspetti e ambiti della fotografia contemporanea.Positivo Diretto, Loft locali fotografici, Damagegood, Whitephoto Gallery, Classic Camera, Officine della Fotografia per me sono ottimi esempi di giovani e competenti operatori culturali del territorio che lavorano da anni per diffondere e creare un dialogo intorno la fotografia contemporanea.La curiosità e la passione che ruotano intorno la fotografia sono altissimi nel nostro territorio e il livello degli artisti altrettanto.Dal punto di vista istituzionale invece credo si debbano creare ancora le sinergie necessarie a dare alla fotografia contemporanea uno spazio per la progettazione, realizzazione e produzione. Molte iniziative sono promosse da singoli cittadini, ma non è sufficiente e dare continuità ad artisti ed operatori culturali. Sarebbe interessante inoltre creare maggiori possibilità di lavoro: spesso quest’ambito è considerato un hobby non retribuito e questo non aiuta a far si che la fotografia contemporanea cresca e possa avere un peso fuori regione.

– Quali consigli senti di dare a un giovane fotografo che si avvicina al mondo della fotografia concettuale?

Ultimamente ho ascoltato un’affermazione che mi ha fatto riflettere molto: un’artista è colui che riesce a sopportare la frustrazione.  Credo s’intenda dire che lavorare con la creatività è molto complesso, non è un percorso lineare o razionale e che il lavoro dell’artista passi da molte fasi, dalla progettazione, alla preparazione, alla realizzazione fino alla diffusione del progetto stesso. E in tutte queste fasi ci possono essere intoppi e problemi, dubbi etc. Abituarsi a questa dimensione senza scoraggiarsi vivendo l’arte come un processo organico fatto di fasi è fondamentale, a qualsiasi età e qualsiasi livello.  Mantenere sempre alta la tensione emotiva, essere sinceri e portare ad un livello esistenziale le realtà di cui vogliamo parlare attraverso la fotografia, maturare dei linguaggi personali, contaminarsi e confrontarsi sono state per me importanti consapevolezze che tutt’ora cerco di mettere in atto.Il lavoro di un artista è fatto di molte fasi previe allo scatto in sé: un lavoro di ricerca, riflessione, analisi, nuova ricerca, nuove riflessioni e nuove analisi. L’opera è una porta aperta sul lavoro dell’artista, una traduzione formale ed estetica di molti ragionamenti e pensieri. Siamo sempre giovani fotografi che si avvicinano a quest’arte, la interrogano, ci dialogano e tentano di dare delle risposte attraverso le proprie immagini.